giovedì 14 dicembre 2006

Locanda Battisti

14/12/06 pranzo alla Locanda Battisti (Via C. Battisti, 97 – Caserta – Tel 0823322757)Maurizio, ottimo direttore al Via Roma di Caserta, insieme al fratello, tenta l'avventura personale e rileva questo piccolo (circa 40 coperti) ristorante posto in una traversa all'inizio di Via Roma in Caserta. La sala è unica ed alle pareti sono in mostra alcune originali realizzazioni.
Siamo in tre ma l'incontro con Davide (nostro compagno d'avventura in terra Basca) completa il quartetto. Una millefoglie di melanzane e baccalà (preparazione molto interessante) prima e un tris di pesce affumicato (tonno, pescespada e salmone) sono i nostri gustosi antipasti. Poiché bisogna ritornare a lavoro decidiamo di mantenerci leggeri, quindi Davide e Mimmo passano direttamente ad una frittura di paranza (dall'aspetto decisamente appetitoso) mentre io e Michela decidiamo per i primi: Linguine all'astice per lei (ottimi, abbondanti e con uno squisito mezzo astice a margine del piatto), fettuccine scampi e carciofi per me (buoni ma il primo di Miky è un'altra cosa). Giusto per accompagnare la colazione pomeridiana ci permettiamo una umile falanghina della Cantina Taburno, vino corretto e sempre piacevole. Uno sguardo d'intesa ed io e la mia dolce metà ci dividiamo anche una bella frittura di ottimi gamberoni. Al dessert nessuno rinuncia e quindi eccoci alle prese con un'ottima crema di ricotta con salsa ai fichi d'india. I nostri compagni d'avventura hanno fretta di rientrare al lavoro e quindi per il caffè(Michela) e l'ottimo Rum agricolo restiamo soli a scambiarci languidi sguardi.
Conto € 115,00 (letto bene: centoquindici tutti e quattro).
Giusto per avere conferma siamo ritornati da soli io e Michela l'11/1/07, stesso livello e conto € 51, 30 (in due con due menù completi).
Maurizio mi confessa che in realtà a pranzo le cose sono più semplici e veloci per via della clientela di lavoro ma la sera i piatti sono un po' più ricercati (e probabilmente anche un po' più cari…. Quando lo scoprirò ve lo farò sapere).

Peppe Minniti

sabato 2 dicembre 2006

taverna estia

2/12/06 Cena da Taverna Estia a Brusciano.
E' un po' che manco da questo posto a me caro, una cena di "lavoro" con altri cinque avvocati mi sembra l'occasione giusta. L'ambiente è diventato ulteriormente ricercato: nuovo tovagliato, bicchieri e posate di qualità, coprisedie…. l'impatto è molto piacevole. L'ottimo Mario ci accoglie con la sua proverbiale ospitalità ed una flut di benvenuto di bollicine campane (De Concilis). Decidiamo di scegliere tutti il menù degustazione di mare con una variazione, l'inserimento di tartufo e tartufo che tanto entusiasmo suscitò nel nostro imperatore in occasione di "collezioni gastronomiche".
L'avvio è di quelli da ricordare: tartarre di tonno con uovo di quaglia e aglio napoletano, spuma di cipolle con sale affumicato, straordinario incrocio di sapori e consistenze, piatto regale, ed è solo il piatto di "benvenuto" fuori carta.
Per il vino ci affidiamo ad un'etichetta storica che non tradisce: Colli di Lapio di Clelia Romano, Fiano profumato, persistente e di grande piacevolezza (a voler essere fiscali un tantino sotto tono il 2005, ma sempre grande). Ma è il momento di tartufo e tartufo, il tartufo di mare si unisce con il tartufo bianco su una crema a base di vino e panna, il risultato è un amplesso amoroso di rara riuscita. Altro fuori programma (piatto in fase di sperimentazione che nella sua versione definitiva sarà inserito nel menù 2007, me lo propongono in anteprima, sono commosso!!): gallinella di mare su vellutata di fagioli con spinaci saltati al curry con ristretto di astice e chips di zucca disidratata, uaaaaahhhh!! !! Per me la versione sperimentale è già un successo, delicato, sapido, croccante, morbido, gustoso ma, soprattutto, piatto equilibratissimo dai sapori ben delineati. A questo punto mi dico: figuriamoci la versione definitiva!! ! Anche il primo è un piatto assolutamente fuori dal comune: cannoncini di pasta aromatizzata alle alici con ricotta di fuscella su riduzione di sedano, vongole, lumache di mare e raviolini alla barbabietola, una sinfonia!!! E come diceva Totò: ho detto tutto!!!> Il secondo è il piatto più "avventuroso" nel senso che l'accostamento lascerà perplessa più di una persona: filetti di rombo chiodato con panatura di polvere di liquerizia e di agrumi su sala di carote, arancia e latte tiepido cagliato, confesso che qualche perplessità l'ho condivisa, piatto estremo, non facile, con leggera predominanza della nota di liquerizia, ma di grande tecnica.
La squisita crema di pere al calvados, salsa di cioccolato e spuma di mandorle con cialda di mandorle, ci annuncia che sta per giungere il dessert: tortino di cioccolato guanaia 70% su salsa di rum e datteri con crema gelato al latte e croccante di mandorle, delizioso!!! A seguire la piccola pasticceria: bastoncino di cioccolato alla banana, cono pasta sigaretta con crema al limone (straordianrio) bom bom con cuore di cioccolato bianco al 100%. E per finire Rum nicaguarense della selezione di Silvio Samaroli. Tutti i piatti avevano delle presentazioni ricercatissime.
A mio avviso, il lungo percorso iniziato dagli Sposito circa 8 anni fa li ha portati oramai nell'olimpo dei ristoranti campani.
Conto adeguato alla qualità ed al livello della cena (100 euro a testa).
Il 26/1/07 ritorno a taverna Estia (pranzo) in compagnia di due chef, ancora un successo, conto 70 euro a testa (questa volta niente tartufo bianco).

giovedì 23 novembre 2006

prosit

23/11/06 – pranzo da Prosit a Marcianise.
Ho causa a Guardia Sanframondi, ridente (cosa avrà da ridere poi, boh?) paesino della provincia beneventana. Chiedo a Michela di accompagnarmi e dopo l'udienza gironzoliamo per i paesini della zona. Dopo ampio e costruttivo confronto decidiamo di pranzare da Prosit a Marcianise, da dove manchiamo da molto, troppo, tempo. Peppone ci accoglie con grande affetto e poiché la sala non è affollata ci coccola alquanto. Ma veniamo al sodo: Flan di rape rosse su emulsione di dragoncello con cialda di parmigiano è un'ottimo avvio (unico rilievo il flan dovrebbe contenere qualche nota croccante di contrasto); il petto di quaglia su pane croccante al pomodoro su infusione di finocchio, scelto dalla mia dolce metà, è invece piatto decisamente più gustoso. Peppone ci suggerisce di assaggiare un vino cileno "equus carmemere" del 2004, dall'incredibile rapporto qualità prezzo (9 euro) che si rivelerà una felice scelta e che col passare del tempo migliorarerà decisamente (potere dell'ossigeno).
Continuiamo con strascinati con porcini, pomodoro fresco e finocchietto selvatico, i porcini non sono più al massimo oramai ma il piatto è gustoso ed originale. Originale in quanto a margine c'è una quenelle di pecorino che a seconda del gusto personale si può unire agli altri ingredienti.
Una delle cose che devo riconoscere in assoluto a questo locale è la varietà e la maestria nel trattare le carni. Anche questa volta tre piatti da leccarsi i baffi: ottimo maialino casertano in crosta di semi di sesamo, seguito da una superba fiorentina di Marchigiana e per finire un'insolita, ma gustosa, faraona farcita con fichi e foie gras. Tra vecchi ricordi (frequento questo locale da quando ero fidanzato ed il prossimo luglio festeggeremo 14 anni di matrimonio) e progetti per il futuro ci gustiamo delle sorbe con miele e semi di lavanda. Ma questo è solo il passaggio versi gli ottimi dessert: pera farcita di ricotta, cioccolato e bucce d'arancia candita su ristretto al marsala (slurp) e mango brulé.
Peppone decide lui per il distillato ed anche questa volta riesce a sorprendermi: grappa di barolo, Marolo (25 anni d'invecchiamento) , semplicemente sublime!!!
Il conto? Una sorpresa in positivo.

martedì 28 marzo 2006

LA Disfida di Bolgheri: Seconda Tappa

Il tempo si mantiene, purtroppo, inclemente e dopo un breve tragitto in pullman raggiungiamo Tenuta San Guido.
Id est : Sassicaia
Un cult wine. Protagonista indiscusso ed indiscutibile del rinascimento enologico italiano, tutti giurano di averlo bevuto almeno una volta ed inevitabilmente si dividono fra guelfi e ghibellini nella migliore delle tradizioni italiane. C’è chi si iscrive al partito dei detrattori accaniti, quelli che solo a sentir parlare di Sassicaia storcono il naso e, con atteggiamento snobistico, affermano con tono perentorio che quel vino lì, pluriosannato dalle guide di tutto il mondo, li ha profondamente delusi e che non vale assolutamente il prezzo che costa. C’è chi, invece, si iscrive con entusiasmo al partito degli adoranti e fedeli sostenitori, infischiandosi dell’eventualità di esser tacciato di conformismo e di essere privo di autonomia di pensiero.
Devo confessare che, nel mio piccolo, anch’io sono stato protagonista di un piccolo “ribaltone” passando dal primo al secondo partito, ma credo di essere in buona compagnia….chiunque abbia infatti avuto la fortuna di assaggiare il vino del Marchese Incisa della Rocchetta con qualche lustro sulle spalle è destinato ineluttabilmente a compiere lo stesso percorso.
Il concetto di Perfezione , di Eleganza, di Equilibrio appare, subito dopo, più chiaro e decifrabile, e questo chiunque tu sia e qualunque esperienza tu abbia con le grandi bottiglie.
Essendo stato folgorato sulla via di San Guido le mie considerazioni sulla visita alla tenuta saranno sicuramente condizionate da una trasparente faziosità e come tale preferisco autodenunciarmi all’Autorità Garante per le reiterate violazioni della legge sulla par condicio che mi appresto a compiere.
Entriamo nella barriccaia, un’ambiente raccolto e un po’ angusto con i muri perimetrali intonacati di bianco e con il pavimento di piastrelle in simil-cotto anni ‘60 e quasi ci meravigliamo di avvertire precisamente il tradizionale odore di cantina. A malapena, a causa dell’illuminazione fioca, scorgiamo delle modeste ma dignitose scaffalature di color rosso, in gran parte attaccate dalla ruggine, che si sviluppano in altezza fino a portare le barriques a sfiorare il tetto dalle travi a vista di legno scuro e con vaste chiazze di muffa che hanno mangiato quasi tutta la vernice rossa del soffitto.
Appena qualche ora fa eravamo a Cà Marcanda di Angelo Gaja, una struttura high tech realizzata dal grande architetto astigiano Giovanni Bo con innovativi sistemi di climatizzazione, un processo di vinificazione a caduta senza l’utilizzo di pompe, installazioni artistiche all’esterno e all’interno della cantina, il tutto, naturalmente, costato svariati milioni di euro.
Il contrasto è troppo evidente per non avvertirlo in tutta la sua stridenza ricca di significato.
Mi viene un dubbio: arrivo quasi a sospettare che dietro ci sia lo zampino di Daniela, che vuole farci riflettere sulle diverse filosofie delle due Case vinicole…Forse la sobrietà piemontese più autentica è quella sommessa semplicità non ostentata del Marchese Incisa della Rocchetta e di Giacomo Tachis.
Scusate, ma l’avevo detto sono di parte!

Bolgheri Sassicaia Sassicaia 2003
Rosso rubino profondo e brillante.Naso sicuramente ancora in evoluzione ma già di grande fascino. Subito ribes nero, prugna ed erbe aromatiche in primo piano, poi il quadro olfattivo si arricchisce lentamente di umori di terra bagnata e di una sfumata nota minerale ferrosa. Sommesso e raffinato come nella tradizione del Sassicaia.Una bocca piena, spessa e dalla struttura elegante, con una progressione gustativa che dall’attacco fino alla deglutizione è segnata da una spalla acida che fa da catalizzatore ad una netta sapidità salmastra che solo lievemente si avvertiva al naso. Tannini di grana fine ma non ancora sufficientemente domati dalla lunga sosta in barrique ma che fanno ben sperare sulla grande longevità di quest’annata.
Il Sassicaia dimostra, ancora una volta, di non aver nessuna intenzione di abdicare e di rimanere impassibile e ben saldo sul suo regale trono nonostante si moltiplichino i candidati alla successione.


Le mie” istantanee” del viaggio studio.
1) Le rotelle della scultura lignea della Fertilità e le barriques allineate al millimetro con le fughe del pavimento in basalto di Cà Marcanda;
2) Il profumo di cantina e la tettoia rossa ammuffita della barriccaia di Tenuta San Guido;
3) La pera cotta al vino rosso e ginepro con mattonella di frutta secca e gelato di gorgonzola della Tenda Rossa;
4) L’albarese sbriciolato tra i filari dei vigneti Solaia e Tignanello di Antinori;
5) La grande competenza di Renzo Cotarella;
6) Il Carnaroli all’aringa con burro di mele cotte e cannella, salsa di broccoli romaneschi e soffiata di broccoli di Vissani ed una citazione anche per il pachino caramellizzato della piccola pasticceria.
7) Il carpaccio di chianina di Podernovo.
E per quanto riguarda la lezione di lunedì pomeriggio: Il Cabreo in blind tasting, una lezione nella lezione.

LA Disfida di Bolgheri: Prima Tappa.

A sentir parlare la famiglia Gaja l’investimento a Bolgheri altro non sarebbe che un buen retiro, una sorta di rifugio consolatorio nel quale riposarsi lontani dalle bizze climatiche della valle del Tanaro e dalle asprezze, spesso difficili da domare, del Nebbiolo, e farsi cullare docilmente dalla solare mediterraneità della Maremma toscana. Ne dobbiamo dedurre, con una certa evidenza, di non aver goduto troppo della benevolenza di Giove Pluvio, vista la pioggia fine ma incessante che ci ha accompagnato per tutta la giornata, a meno di voler dar la caccia al menagramo che si è infiltrato tra di noi! E neanche possiamo fare a meno di notare il palese ritardo della fase vegetativa delle viti che ammiriamo mentre percorriamo la Bolgherese, e siamo quasi sul punto di inanellare tutti i luoghi comuni più usati ed abusati, del tipo non ci sono più le stagioni di una volta e così via, ma essendo la serie lunga e noiosa riteniamo sia meglio per tutti desistere subito.
Finalmente arriviamo a Cà Marcanda dove, superato il cancello d’ingresso, un corto vialetto adornato di piante aromatiche ci conduce ad una costruzione che si sviluppa per una superficie complessiva di 9600 mq., gran parte dei quali seminterrati, mentre il corpo dell’edificio visibile è rivestito con la stessa pietra estratta durante lo scavo delle fondazioni. Tutt’intorno 350 ulivi secolari, oleandri e prato verde all’inglese di prosaica gramigna ingentiliscono la collinetta artificiale che nasconde alla vista l’imponente struttura disegnata da un importante architetto astigiano, il settantenne Giovanni Bo
All’interno siamo colpiti dagli spazi dagli ampi volumi, idealmente divisi da pilastri in ferro arrugginito ad hoc e riempiti di cemento armato, ricavati riutilizzando i tubi di un oleodotto dismesso della Dalmine. Non ce lo aspettavamo, e rimaniamo in silenzio e un po’ intimoriti da quell’atmosfera quasi sacrale che ci circonda, con quei vuoti che invitano al raccoglimento e alla riflessione tipici delle moschee musulmane. Una cantina iper-tecnologica, estremamente funzionale ed essenziale, in cui i vari passaggi durante le fasi della vinificazione non prevedono l’utilizzo di pompe ma avvengono per caduta sfruttando la forza di gravità e dove l’ impianto di condizionamento corre, nascosto alla vista, sotto il pavimento nero rivestito di piastrelle in basalto vulcanico vetrificato dalle alte temperature. Estrema cura per ogni minimo dettaglio, nulla è stato lasciato al caso, perfino le barriques vengono ordinate seguendo al millimetro le fughe del pavimento, ed addirittura lo stesso Angelo Gaja più volte è stato scoperto, dai suoi fidati collaboratori, sdraiato sul quel pavimento mentre era intento a controllare il loro perfetto allineamento.
Potrebbe sembrare una esasperata e forse un po’ maniacale ricerca della perfezione fine a se stessa: in realtà altro non è che massimo rispetto per l’uva e il suo prezioso liquido. Tutto è consacrato al vino, anche la scultura lignea della Fertilità, che simbolicamente è stata posta in una delle barriccaie ad evocare una feconda e prodiga maturazione, è mobile, su rotelle, per non intralciare le operazioni durante le fasi delle produzione. Anche l’Arte si piega al Vino, non è statica ma semovente per assicurare la massima funzionalità nell’utilizzazione degli spazi.
All’esterno la nostra attenzione è attratta dalla tettoia a sbalzi irregolari, stile bladerunner, caratterizzata da un groviglio caotico e disordinato di longarine ferroviarie. L’insieme sembra davvero meritare il nomignolo che i membri dell’azienda ci confidano di utilizzare per descriverla, ispirati, a quanto pare, dalla dissacrante ironia, tutta maremmana, di un buontempone locale che così chiosava: un disastro ferroviario!
Rientriamo al coperto per l’insistenza della pioggia, non prima di aver espresso tutta la nostra solidarietà al carpentiere per la fatica immane profusa nella messa in opera della bizzaria architettonica, un tale Ceccarelli che ha pensato bene di lasciare con malcelato orgoglio la propria firma su una di quelle longarine accartocciate.
Giungiamo nel salone utilizzato per le degustazioni, dove ci attende Gaia Gaja che ci fa accomodare attorno ad un elegante ed imponente tavolo in vetro nero fumè, contornato da comode poltroncine in cuoio.

Magari 2003

Elegante etichetta optical dalle essenziali e pulite linee geometriche, il cui cromatismo bianco/nero reinterpreta lo stile grafico che ha reso i vini di Gaja immediatamente riconoscibili sugli scaffali delle enoteche di tutto il mondo.Rosso rubino di buona concentrazione e compattezza.Al naso si concede con parsimonia, solo dopo successive olfazioni emergono da un fondo minerale scuro e ferroso note profonde di piccoli frutti a bacca nera. Il morbido ingresso in bocca è ravvivato rapidamente da un’acidità di buon nerbo che si accompagna ad una sapidità già in buona evidenza. Il tannino, pur nella sua giovinezza, è di spessore e buona fattura e si avverte con precisione, dopo la deglutizione e successiva masticazione, tra lingua e palato.
Inizia ad affiorare il timbro bolgherese con la sua inconfondibile mineralità grazie alle viti che ormai hanno iniziato ad andare in profondità, avendo ben sviluppato gli apparati radicali ed ad arricchirsi di tutte le sostanze nutritive necessarie ad esprimere le grandi potenzialità di questo vino.Un vino che nonostante il nome sembra piuttosto ansioso di abbandonare al più presto la forma dubitativa per misurarsi con i grandi nomi della Maremma: il re Sassicaia e i suoi cortigiani Ornellaia e Guado al Tasso.

lunedì 16 gennaio 2006

DWine Napoli

16/1/06 cena al D Wine – Napoli.
E' il compleanno della mia dolce metà e dopo averle dedicata un'intera giornata di shopping (per mia fortuna non le è piaciuto nulla) andiamo a cena in questo locale del lungomare napoletano.
La storia di questo ristorante mi ricorda quella dell'Araba Fenice, il mitico uccello che rinacque dalle proprie ceneri. La partenza, poco più di un anno fa, fu accompagnata da fuochi d'artificio e salutata con favore da tutti gli amanti della buona tavola. Poi una politica sballata ed altre peripezie ne avevano decretato il declino. Poi dalle ceneri de "La Cabala" è arrivato lo chef Giuseppe D'Addio, che ha rivoluzionato tutto. Nuova politica dei prezzi (più accessibili) , nuovo menù, nuova organizzazione… .insomma una piccola rivoluzione.Il locale non è grandissimo, due salette per un totale di circa 35/40 coperti, però grande cura nei particolari e posizione (Via Partenope) splendida.
Il menù prevede addirittura quattro menù degustazione (noi optiamo per uno "degustazione mare" ed uno di "crudo di mare", il primo a 55 euro ed il secondo a 60), lunga ed articolata la carta dei vini con etichette di gran pregio, sparito il servizio dai costi.
Giuseppe ci accoglie calorosamente e ci offre un fuori programma di tartine, molto gustose, che accompagneranno le bollicine di benvenuto. Sempre a sancire il benvenuto giunge la polpetta di pesce in crosta di riso carnaroli su crema di finocchi (squisita). Altro fuori programma: Pesce castagna marinato all'arancia con misticanza di carciofi. Applausi!!!! Che bello ritrovare in circolazione un grande chef!!!Ma passiamo agli antipasti: gamberoni croccanti con cous cous di verdurine e salsa al mandarino, mamma mia che piatto, il gusto delicato dei gamberoni esaltato dal croccante della pasta Kataifi (che ne preserva anche la cottura), la freschezza del cous cous e la delicatezza della salsa al mandarino, che sinfonia di sapori e gusti.. Cilindro di pesce leggermente marinato con pomodori verdi (per il crudo) buona l'idea ma nella marinatura il limone è un po' troppo accentuato. Per il vino decidiamo di andare in Friuli e quindi, la scelta cade su di un grande Tocai: Toros, vino ricco di profumi e di buona persistenza, un'ottima scelta che mi accompagnerà per tutto il pranzo (perfino Michela che è notoriamente astemia ne beve mezzo bicchiere). Paccheri con pescatrice, capperi nani e pomodori secchi e Spaghetti di Gragnano con filetti di zucchine, pesce crudo e olio al basilico sono i due primi, entrambi ottimi, più gustoso il primo, più delicato il secondo.Per secondo: l'involtino di pesce castagna alla mozzarella in crosta di olive nere (ottimo anche se il pesce castagna iniziale era sublime in quella interpretazione) e trilogia di pesce crudo con misticanza aromatica (i vari crudi vengono esaltati dalle varie erbette aromatiche, bella preparazione).
Uno squisito sorbetto alla mela verde con cannuccia di cioccolato è il pre dessert che fa da apripista agli straordinari dolci con cui Giuseppe ci ha sempre deliziati. Ed infatti, poco dopo ci giungono tartelletta con crema al mandarino e caprese al limone ed il Percorso di sorbetti e gelato con piccolo semifreddo al miele d'arancia. Buonissimo tutto, dolci e gelati veramente straordinari, con una nota personale per il semifreddo allo zenzero, sublime connubio di dolce e piccante.
Altra sorpresa finale: una piccola e squisita torta ricotta e pere offerta per il compleanno della mia dolce metà.
Visita alla cantina mentre degusto il mio Rum Demerara dell'84 e dolcissimo rientro a casa con il lungomare napoletano a fare da ruffiano.
Finalmente a Napoli una bella cucina, grazie Giuseppe (D'Addio). Conto: 152,00