martedì 28 marzo 2006

LA Disfida di Bolgheri: Seconda Tappa

Il tempo si mantiene, purtroppo, inclemente e dopo un breve tragitto in pullman raggiungiamo Tenuta San Guido.
Id est : Sassicaia
Un cult wine. Protagonista indiscusso ed indiscutibile del rinascimento enologico italiano, tutti giurano di averlo bevuto almeno una volta ed inevitabilmente si dividono fra guelfi e ghibellini nella migliore delle tradizioni italiane. C’è chi si iscrive al partito dei detrattori accaniti, quelli che solo a sentir parlare di Sassicaia storcono il naso e, con atteggiamento snobistico, affermano con tono perentorio che quel vino lì, pluriosannato dalle guide di tutto il mondo, li ha profondamente delusi e che non vale assolutamente il prezzo che costa. C’è chi, invece, si iscrive con entusiasmo al partito degli adoranti e fedeli sostenitori, infischiandosi dell’eventualità di esser tacciato di conformismo e di essere privo di autonomia di pensiero.
Devo confessare che, nel mio piccolo, anch’io sono stato protagonista di un piccolo “ribaltone” passando dal primo al secondo partito, ma credo di essere in buona compagnia….chiunque abbia infatti avuto la fortuna di assaggiare il vino del Marchese Incisa della Rocchetta con qualche lustro sulle spalle è destinato ineluttabilmente a compiere lo stesso percorso.
Il concetto di Perfezione , di Eleganza, di Equilibrio appare, subito dopo, più chiaro e decifrabile, e questo chiunque tu sia e qualunque esperienza tu abbia con le grandi bottiglie.
Essendo stato folgorato sulla via di San Guido le mie considerazioni sulla visita alla tenuta saranno sicuramente condizionate da una trasparente faziosità e come tale preferisco autodenunciarmi all’Autorità Garante per le reiterate violazioni della legge sulla par condicio che mi appresto a compiere.
Entriamo nella barriccaia, un’ambiente raccolto e un po’ angusto con i muri perimetrali intonacati di bianco e con il pavimento di piastrelle in simil-cotto anni ‘60 e quasi ci meravigliamo di avvertire precisamente il tradizionale odore di cantina. A malapena, a causa dell’illuminazione fioca, scorgiamo delle modeste ma dignitose scaffalature di color rosso, in gran parte attaccate dalla ruggine, che si sviluppano in altezza fino a portare le barriques a sfiorare il tetto dalle travi a vista di legno scuro e con vaste chiazze di muffa che hanno mangiato quasi tutta la vernice rossa del soffitto.
Appena qualche ora fa eravamo a Cà Marcanda di Angelo Gaja, una struttura high tech realizzata dal grande architetto astigiano Giovanni Bo con innovativi sistemi di climatizzazione, un processo di vinificazione a caduta senza l’utilizzo di pompe, installazioni artistiche all’esterno e all’interno della cantina, il tutto, naturalmente, costato svariati milioni di euro.
Il contrasto è troppo evidente per non avvertirlo in tutta la sua stridenza ricca di significato.
Mi viene un dubbio: arrivo quasi a sospettare che dietro ci sia lo zampino di Daniela, che vuole farci riflettere sulle diverse filosofie delle due Case vinicole…Forse la sobrietà piemontese più autentica è quella sommessa semplicità non ostentata del Marchese Incisa della Rocchetta e di Giacomo Tachis.
Scusate, ma l’avevo detto sono di parte!

Bolgheri Sassicaia Sassicaia 2003
Rosso rubino profondo e brillante.Naso sicuramente ancora in evoluzione ma già di grande fascino. Subito ribes nero, prugna ed erbe aromatiche in primo piano, poi il quadro olfattivo si arricchisce lentamente di umori di terra bagnata e di una sfumata nota minerale ferrosa. Sommesso e raffinato come nella tradizione del Sassicaia.Una bocca piena, spessa e dalla struttura elegante, con una progressione gustativa che dall’attacco fino alla deglutizione è segnata da una spalla acida che fa da catalizzatore ad una netta sapidità salmastra che solo lievemente si avvertiva al naso. Tannini di grana fine ma non ancora sufficientemente domati dalla lunga sosta in barrique ma che fanno ben sperare sulla grande longevità di quest’annata.
Il Sassicaia dimostra, ancora una volta, di non aver nessuna intenzione di abdicare e di rimanere impassibile e ben saldo sul suo regale trono nonostante si moltiplichino i candidati alla successione.


Le mie” istantanee” del viaggio studio.
1) Le rotelle della scultura lignea della Fertilità e le barriques allineate al millimetro con le fughe del pavimento in basalto di Cà Marcanda;
2) Il profumo di cantina e la tettoia rossa ammuffita della barriccaia di Tenuta San Guido;
3) La pera cotta al vino rosso e ginepro con mattonella di frutta secca e gelato di gorgonzola della Tenda Rossa;
4) L’albarese sbriciolato tra i filari dei vigneti Solaia e Tignanello di Antinori;
5) La grande competenza di Renzo Cotarella;
6) Il Carnaroli all’aringa con burro di mele cotte e cannella, salsa di broccoli romaneschi e soffiata di broccoli di Vissani ed una citazione anche per il pachino caramellizzato della piccola pasticceria.
7) Il carpaccio di chianina di Podernovo.
E per quanto riguarda la lezione di lunedì pomeriggio: Il Cabreo in blind tasting, una lezione nella lezione.

LA Disfida di Bolgheri: Prima Tappa.

A sentir parlare la famiglia Gaja l’investimento a Bolgheri altro non sarebbe che un buen retiro, una sorta di rifugio consolatorio nel quale riposarsi lontani dalle bizze climatiche della valle del Tanaro e dalle asprezze, spesso difficili da domare, del Nebbiolo, e farsi cullare docilmente dalla solare mediterraneità della Maremma toscana. Ne dobbiamo dedurre, con una certa evidenza, di non aver goduto troppo della benevolenza di Giove Pluvio, vista la pioggia fine ma incessante che ci ha accompagnato per tutta la giornata, a meno di voler dar la caccia al menagramo che si è infiltrato tra di noi! E neanche possiamo fare a meno di notare il palese ritardo della fase vegetativa delle viti che ammiriamo mentre percorriamo la Bolgherese, e siamo quasi sul punto di inanellare tutti i luoghi comuni più usati ed abusati, del tipo non ci sono più le stagioni di una volta e così via, ma essendo la serie lunga e noiosa riteniamo sia meglio per tutti desistere subito.
Finalmente arriviamo a Cà Marcanda dove, superato il cancello d’ingresso, un corto vialetto adornato di piante aromatiche ci conduce ad una costruzione che si sviluppa per una superficie complessiva di 9600 mq., gran parte dei quali seminterrati, mentre il corpo dell’edificio visibile è rivestito con la stessa pietra estratta durante lo scavo delle fondazioni. Tutt’intorno 350 ulivi secolari, oleandri e prato verde all’inglese di prosaica gramigna ingentiliscono la collinetta artificiale che nasconde alla vista l’imponente struttura disegnata da un importante architetto astigiano, il settantenne Giovanni Bo
All’interno siamo colpiti dagli spazi dagli ampi volumi, idealmente divisi da pilastri in ferro arrugginito ad hoc e riempiti di cemento armato, ricavati riutilizzando i tubi di un oleodotto dismesso della Dalmine. Non ce lo aspettavamo, e rimaniamo in silenzio e un po’ intimoriti da quell’atmosfera quasi sacrale che ci circonda, con quei vuoti che invitano al raccoglimento e alla riflessione tipici delle moschee musulmane. Una cantina iper-tecnologica, estremamente funzionale ed essenziale, in cui i vari passaggi durante le fasi della vinificazione non prevedono l’utilizzo di pompe ma avvengono per caduta sfruttando la forza di gravità e dove l’ impianto di condizionamento corre, nascosto alla vista, sotto il pavimento nero rivestito di piastrelle in basalto vulcanico vetrificato dalle alte temperature. Estrema cura per ogni minimo dettaglio, nulla è stato lasciato al caso, perfino le barriques vengono ordinate seguendo al millimetro le fughe del pavimento, ed addirittura lo stesso Angelo Gaja più volte è stato scoperto, dai suoi fidati collaboratori, sdraiato sul quel pavimento mentre era intento a controllare il loro perfetto allineamento.
Potrebbe sembrare una esasperata e forse un po’ maniacale ricerca della perfezione fine a se stessa: in realtà altro non è che massimo rispetto per l’uva e il suo prezioso liquido. Tutto è consacrato al vino, anche la scultura lignea della Fertilità, che simbolicamente è stata posta in una delle barriccaie ad evocare una feconda e prodiga maturazione, è mobile, su rotelle, per non intralciare le operazioni durante le fasi delle produzione. Anche l’Arte si piega al Vino, non è statica ma semovente per assicurare la massima funzionalità nell’utilizzazione degli spazi.
All’esterno la nostra attenzione è attratta dalla tettoia a sbalzi irregolari, stile bladerunner, caratterizzata da un groviglio caotico e disordinato di longarine ferroviarie. L’insieme sembra davvero meritare il nomignolo che i membri dell’azienda ci confidano di utilizzare per descriverla, ispirati, a quanto pare, dalla dissacrante ironia, tutta maremmana, di un buontempone locale che così chiosava: un disastro ferroviario!
Rientriamo al coperto per l’insistenza della pioggia, non prima di aver espresso tutta la nostra solidarietà al carpentiere per la fatica immane profusa nella messa in opera della bizzaria architettonica, un tale Ceccarelli che ha pensato bene di lasciare con malcelato orgoglio la propria firma su una di quelle longarine accartocciate.
Giungiamo nel salone utilizzato per le degustazioni, dove ci attende Gaia Gaja che ci fa accomodare attorno ad un elegante ed imponente tavolo in vetro nero fumè, contornato da comode poltroncine in cuoio.

Magari 2003

Elegante etichetta optical dalle essenziali e pulite linee geometriche, il cui cromatismo bianco/nero reinterpreta lo stile grafico che ha reso i vini di Gaja immediatamente riconoscibili sugli scaffali delle enoteche di tutto il mondo.Rosso rubino di buona concentrazione e compattezza.Al naso si concede con parsimonia, solo dopo successive olfazioni emergono da un fondo minerale scuro e ferroso note profonde di piccoli frutti a bacca nera. Il morbido ingresso in bocca è ravvivato rapidamente da un’acidità di buon nerbo che si accompagna ad una sapidità già in buona evidenza. Il tannino, pur nella sua giovinezza, è di spessore e buona fattura e si avverte con precisione, dopo la deglutizione e successiva masticazione, tra lingua e palato.
Inizia ad affiorare il timbro bolgherese con la sua inconfondibile mineralità grazie alle viti che ormai hanno iniziato ad andare in profondità, avendo ben sviluppato gli apparati radicali ed ad arricchirsi di tutte le sostanze nutritive necessarie ad esprimere le grandi potenzialità di questo vino.Un vino che nonostante il nome sembra piuttosto ansioso di abbandonare al più presto la forma dubitativa per misurarsi con i grandi nomi della Maremma: il re Sassicaia e i suoi cortigiani Ornellaia e Guado al Tasso.