mercoledì 25 giugno 2008

Vacanze romane...Doppia verticale dell’azienda Castello dei Rampolla con Sammarco e d'Alceo


Vacanze Romane...l'occasione era ghiotta, un grande evento targato Bibenda: i cult-wine di Castello dei Rampolla, Sammarco e d'Alceo in una doppia verticale che attraversa alcuni tra i millesimi più rappresentativi di questa storica e prestigiosa azienda di Panzano di Greve in Chianti. I vini, il parterre de roi ( i principi Luca e Maurizia di Napoli Rampolla e l'enologo Giacomo Tachis con Paolo Lauciani a guidare la degustazione) e la simpatica compagnia (Mauro Erro e Luigi Cristiano) mi convincono a sfidare il torrido caldo di questi giorni... L'opportunità, poi, di scambiare un pò di piacevoli chiacchiere con qualche vecchio amico "romano" è la classica ciliegina sulla torta! A proposito, visto che la trasferta nella capitale era giustificata anche da "motivi di lavoro" subito un' anticipazione: nei prossimi mesi ci sarà una disfida a colpi di zuppa di pesce (scuola puteolan-partenopea vs. scuola laziale) in collaborazione con l'amica e "collega" Maria Cristina Ciaffi, Delegata Ais Civitavecchia. Prima però di lasciare lo spazio al puntuale resoconto di Mauro, due parole due, su questa storica doppia verticale. Diciasette vini sono un' impresa decisamente ardua ma il ritmo della degustazione scandito dagli interventi calibrati dei relatori con le incursioni di Tachis il Grande (giù il cappello!) consente di recuperare agevolmente la concentrazione e prestare la giusta e necessaria attenzione, meno male…Ma veniamo ai vini. A farmi preferire la batteria siglata Sammarco (per un'incollatura..n.d.a.) sono gli umori terragni della toscanità più classica: humus, sottobosco, funghi e tabacco che si intrecciano uno nell'altro bicchiere dopo bicchiere. Su tutti svetta, a mio modesto avviso, il superbo 1985 che si presenta in grande spolvero con una veste cromatica di un intenso granato, illuminata da nobili trasparenze e con un naso che mi colpisce per il frutto ancora integro, direi quasi croccante, scolpito da eleganti ed incessanti effluvi balsamici; in bocca l’incedere della parabola gustativa, deciso e fiero ad ogni passo è sospinto da una sorprendente freschezza che si rinnova in continuazione, il raffinato tannino accompagna in lunghezza ed in profondità tutto l’assaggio con un' impronta garbata e carezzevole. Un vero cavallo di razza che galopperà ancora per tanti anni! Per la batteria dei d'Alceo il timbro è quello della “potenza in un guanto di velluto” anche se ho apprezzato il tono più sommesso del 1998 con una silhouette sicuramente più agile e snella ma dalla lunga e sottile persistenza. Mi fermo qui...basta così! Adesso è il turno della maratona “etilica” di Mauro Erro.

Il territorio:

L’azienda di Castello dei Rampolla è ubicata nella splendida Conca d’Oro, un anfiteatro naturale protetta a nord dalla collina di Santa Lucia, che si apre a sud del paese di Panzano nel comune di Greve in Chianti, nel cuore della zona del Chianti Classico. La natura dei terreni della Conca d’Oro, e più propriamente dei vigneti della azienda, è abbastanza eterogenea, ma vede la predominanza di argilla a valle, che permette la trasmissione di sostanza minerali (le note minerali sono una caratteristica sempre presente nei vini provenienti da questo “Grand Cru”), e man mano salendo in altitudine, terreni limosi e Galestro: quest’ultimo favorisce il perfetto drenaggio e la possibilità di un’ottima penetrazione delle radici delle piante.

L’azienda:

L’azienda nasce grazie all’opera di Alceo di Napoli, intorno agli anni ’60. Innamorato dei vini bordolesi, decise di portare le barbatelle nella sua tenuta (quelle del Cabernet provengono da Villa Capezzana, che a sua volta le aveva prese da Chateau Lafite. Verranno innestate su viti di Malvasia, Trebbiano e Ciliegiolo): fu egli il primo con la collaborazione di Giacomo Tachis, l’enologo, a portare insieme gli Antinori il Cabernet Sauvignon in Toscana e l’unico ad introdurre, in gran segreto perché all’epoca vietato, il Petit Verdot. Dopo la morte di Alceo Di Napoli, saranno i figli dal 1994 a riprendere l’azienda e a produrre il Vigna d’Alceo che verrà commercializzato per la prima volta nell’annata 1996. L’azienda possiede 120 ettari, di cui solo 42 vitati e 28 effettivamente produttivi. Dal 1994, l’azienda è a conduzione biodinamica, per cui si utilizzano solo lieviti indigeni per la fermentazione, non si aggiungono enzimi o prodotti coadiuvanti, l’utilizzo dell’anidride solforosa è ridotta al minimo.

I vini:

Il Sammarco (il cui nome ricorda uno dei figli di Alceo, prematuramente scomparso in un incidente in elicottero) ed il Vigna d’Alceo (oggi più semplicemente d'Alceo) sono i vini di punta dell’azienda. Il primo era nato come uvaggio di Cabernet Sauvignon e Sangiovese, anche se mano a mano negli anni la percentuale di Sangiovese è stata ridotta fino ad un 5% attuale, a cui si è aggiunto un’altrettanta percentuale di Merlot. Il Secondo, invece, è un taglio di Cabernet Sauvignon in prevalenza con l’aggiunta di una percentuale (intorno al 20%) di Petit Verdot. Le vigne sono poste tra i 250 e i 300 metri sul livello del mare, hanno un’età media che supera i trent’anni (anche se si sta provvedendo a nuovi innesti) ed una densità per ettaro, per il Sammarco, di 5/6000 ceppi, per l’Alceo, di 10000, oggi ridotti a 8.000, ceppi. La resa, per quest’ultimo, d’uva per pianta, è alquanto significativa: solo 300-500 grammi!

La vinificazione avviene in lamiera smaltata (non inox, in cui, a detta del proprietario Luca di Napoli, i vini rossi non si fermano mai), anche se l’azienda si sta preparando per sostituirli con tini di cemento, un materiale più neutro per preservare la naturalezza del vino. L’affinamento prevede per il Sangiovese botti dalle capacità di 25/30 ettolitri, per il Cabernet Sauvignon, il Petit Verdoit ed il Merlot, barrique di rovere francese di leggera tostatura nuove solo per il 10, 15%.

N.d.a.: La degustazione, tenutasi ieri presso l’Hotel Cavalieri Hilton di Roma a cura di Ais-Bibenda Roma alla presenza dei titolari dell’azienda e dell’enologo Giacomo Tachis, è stata molto affascinante, ma anche molto faticosa (17 vini, non son pochi), quindi mi scuserete per qualche imprecisione. Trattandosi di due vini in verticale, ovviamente, noterete una certa ripetitività dei descrittori organolettici. L’indicazione del colore sarà data solo quando estremamente significativa.

lunedì 2 giugno 2008

Giovin Re di Michele Satta


Verrebbe da dire ”Simposiarchi vicini e lontani giù il cappello, questo qui è un gran vino, punto e a capo! “ Ma andiamo per gradi, partiamo dal colore…
Fin dalla vista colpisce per uno smagliante oro zecchino dai radiosi riflessi che illuminano il cristallo del bicchiere. Straripante è la ricchezza aromatica della finissima trama olfattiva: prima esplodono le note fruttate di albicocca, ananas e pesca gialla; poi è il turno della cannella accompagnata da incenso e miele d’acacia. Intensi e continui sono i profumi che giocano con le nostre narici, nascondendosi uno dietro l’altro: diventa estremamente piacevole immergere il naso nel bicchiere e verificare come il ventaglio aromatico si dispieghi ad ogni olfazione, disegnando una complessità di rara definizione che chiude con un tocco soffuso di crema inglese dal quale emerge con chiara precisione il baccello di vaniglia.
Un corpo estremamente sensuale ed avvolgente, arrotondato da una morbidezza che pervade il palato con un incedere lento e flessuoso sostenuto ad ogni passo da una acidità rimarchevole, che nella dinamica gustativa accompagna il Giovin Re verso l’armonia nonostante l’importante ricchezza in estratti; con il passar del tempo, dopo la deglutizione, dimostra di sapersi vestire anche di sapidità per un interminabile finale di regale eleganza.
Mi lancio, stile “viandante bevitore”, in un abbinamento musicale e mi vien subito da pensare alle evocative atmosfere di Habibi ya nour el di Alabina. Buona danza del ventre…

Tommaso Luongo