Di Tommaso Luongo e Claudio Tenuta
In ogni dove in Borgogna si respira un’atmosfera agreste, profondamente rustica e di rurale semplicità. Vignaioli caparbi ed ostinati che zappano la terra, vigne attempate che non celano le proprie rughe, vini virili dalla scontrosa eleganza e cantine che profumano di mosto dove, ancora, ci si inzacchera le scarpe con la terra battuta… Tutto questo può sembrare forse un pò troppo naif, ma questa è l’anima più verace della Borgogna, che non si nasconde dietro artifizi o alchimie mostrandosi con dignità e fierezza per quello che autenticamente è. Qui la natura esplode, rigogliosa, nelle mille essenze e nei profumi cangianti dei suoi vini, e nel palato che si esalta e si entusiasma ad ogni sorso. I vigneron borgognoni sono prima di tutto dei profondi conoscitori della propria terra, degli agricoltori “artigiani”di poche parole e dai modi piuttosto spicci. Gente schiva, riservata, non adusa alle pubbliche relazioni, “geneticamente” refrattaria ai fasti e alle solennità dei pomposi Chateâu bordolesi. Qui è un altro mondo, si preferisce non ostentare la propria grandezza e far parlare soltanto il vino; spesso però, magari dopo qualche piccolo mugugno che è eredità della loro ancestrale diffidenza, quegli stessi vignaioli sanno accoglierti con genuina e spontanea cordialità. Un frutto turgido e vitale declinato nelle sfumature di ciliegia nera, amarena e lampone è il filo conduttore della nostra degustazione; passando da un comune all’altro della Cote de Nuits, questa nota fruttata, perfino semplice nella sua immediatezza, si impreziosisce degli umori dei singoli terroirs esaltando anche la più insignificante delle differenze pedoclimatiche, facendo di ogni vino un’emozione unica e irripetibile. I vini sono sfuggenti, riflessivi ed emozionali; vini che sanno raccontarti, senza lustrini, gli umori del proprio terroir, ma che chiedono in cambio di essere degustati con assaggi meditati e non frettolosi, e per questo con calma sediamoci e iniziamo il nostro piccolo viaggio nella grande terra di Borgogna in compagnia delle schede di degustazioni a cura del “nostro” Claudio Tenuta.
Nell’accogliente ritrovo di Mauro Erro ed il fratello Roberto entriamo in punta di piedi per approcciarci, non lo nascondo per quanto mi riguarda, con un pizzico di timore reverenziale verso il signore dei vini di Borgogna e non solo. Siamo davanti al Pinot Noir che grazie alla sapiente selezione del trio Mauro-Fabio-Tommaso ci apprestiamo a scoprire con un approccio tecnico ma soprattutto emozionale e soggettivamente libero. La serata parte con grande concentrazione dei 10 fortunati componenti del tavolo rettangolare, i partecipanti dai più smaliziati in tema di Pinot Noir ai meno esperti aspettano che tutti e sei i bicchieri siano pieni, al fine di avere il quadro completo davanti ai propri occhi, al proprio naso e alla propria bocca e poter valutare in uno stato di completo abbandono dei sensi senza nessun tipo di frenesia.
Volnay Aoc 2004 S. Francois -Monnet:
Colore nettamente rubino, abbastanza consistente e di buona limpidezza nonostante non sia filtrato, al primo naso esprime note di riduzione e qualcuno ritiene anche di feccetta, per quanto mi riguarda ho il desiderio di aspettarlo perchè il primo naso mi ha fatto emergere quelle sensazioni olfattive che riscontro in vini prodotti con uve biodinamiche e con tecniche in cantina ridotte al minimo. Dopo 30 minuti di ossigenazione emerge una nota vinosa molto netta in perfetta sintonia col colore rubino che denota la gioventù del prodotto, il naso con la roteazione del bicchiere tende a chiudersi su se stesso e le sensazioni floreali sono ancora troppo in sordina ad esclusione di una nota di lilium, mentre inizia a salire una nota minerale vagamente di gesso. In bocca è meglio definito grazie ad una spiccata sapidità ed a una alcolicità molto calibrata, al gusto emergono piacevoli fragranze di prugna, susina e fragoline di bosco, di media persistenza. Da rilevare che dopo circa due ore la compattezza olfattiva iniziale si è finalmente scissa in sensazioni fragranti di frutta fresca e fiori di campo.
Volnay Aoc Premier Cru 2004 Les Fremiets-Voillot:
Stessa annata ma colore decisamente più orientato al granato, assolutamente vivido; il primo naso mi fa associare questo bicchiere ad un Merlot perchè esprime note vegetali ed erbacee molto nette di geranio metropolitano e radice di liquirizia, i fiori sono presenti ma ancora coperti da questo forte impatto verde (Fabio Cimmino sostiene che dipendente dall’annata 2004 non memorabile e da una probabile vendemmia anticipata). Il secondo naso si evolve verso sensazioni più eleganti di camomilla, finocchio selvatico e dopo più tempo verso note di tabacco e ceralacca. La bevuta è altrettanto elegante con apertura su pungenti sensazioni di pepe verde appena macinato e liquirizia dolce, infine su sensazioni di ciliege e roselline. La persistenza non è particolarmente lunga ma comunque avvolge il palato congradevoli nuances.
Pommard Cru 2004 Roblet Monnet:
Vino rubino di maggiore concentrazione rispetto ai bicchieri precedenti, con discreta consistenza espressa anche da archetti numerosi e lacrime lente sinonimo di buona presenza sia di alcoli che di polialcoli. E’ il vino più chiuso di tutti e nonostante le continue roteazioni del bicchiere non ha voglia di mostrarsi, dopo 20 minuti di ossigenazione emergono le note che secondo la mia convinzione cercavo in un Pinot Noir, cioè: lamponi, cassis, e fiori rossi e note vegetali oltre che un sottofondo minerale di salgemma. In bocca fanno a cazzotti la morbidezza maggiore rispetto ai Volnay ma anche la tannicità molto aggressiva che asciuga completamente il cavo orale. Il vino entra in bocca su note amare, di primo impatto un poco invadenti, di rabarbaro e pepe nero, poi le papille gustative e la salivazione smorzano questa sensazione ed emergono note balsamiche e mentolate e un gusto di piccoli frutti di bosco. Probabilmente anche la tostatura del legno di affinamento ha inciso con i suoi tannini e ci sarà bisogno di più tempo per avere un espressione ottimale di questo vino.
Pommard Aoc 2004 Domaine Sabre:
Colore perfettamente granato con ricordi rubino e qualche accenno aranciato, appena velato e di consistenza uguale agli altri campioni. E’ il più intenso di tutti, metti il naso nel bicchiere e ti trovi un pugno di sensazioni contraddittorie. La serata si “apre” e chi fino a quel momento era stato sulle sue non può esimersi dal dire qualcosa su questo vino che nel bene e nel male catalizza gran parte dei confronti. Tutti al tavolo abbiamo sentito almeno una volta il profumo avvertito al primo naso nel bicchiere ma nessuno riesce a sbilanciarsi, io identifico la sensazione con la cipria mista a note ematiche, ma come detto da qualcuno percepisco anche note di saldatura o plastica appena bruciata, ma non è da escludere, anzi, l’odore di china. Tutto quello che ha diviso al naso in bocca unisce e le sensazioni pungenti ed in parte non piacevoli svaniscono in bocca con un gusto più incentrato su citronella essiccata, marasca, talco, dopo un apertura delicatamente amara minore rispetto l’altro Pommard. Persistenza media.
Gevrey Chambertin Aoc 2004 Fourrier:
Si presenta col un bel vestito rubino con unghia granata, perfettamente limpido e di media consistenza. E’ il secondo vino più chiuso della serata, ma quando decide di aprirsi lo fa su note dolci di zucchero di canna integrale, caramella mou e spezie essiccate, poi gradualmente si evolve su note minerali e eteree. In bocca il tannino è ben levigato e nonostante la spiccata freschezze e sapidità, l’equilibrio è quasi perfetto grazie una decisa presenza di alcolicità e morbidezza. Ad un naso molto elegante fa seguito una bocca altrettanto fine, questo Pinot accarezza delicatamente il cavo orale lasciando una PAI piacevolmente increntrata su sensazioni di giacinto, viola, ribes nero e pietra focaia.
Chambertin Grand Cru 2004 Rossignol Trapet:
Sorpresa di fine serata, maledettamente gradita, un Grand Cru della Cote de Nuits. Rubino molto concentrato con riflessi granati e perfetta limpidezza, ma consistenza più accentuata rispetto ai precedenti calici, lo si percepisce dalla compattezza del liquido nel bicchiere. Apre con un naso su sensazioni vegetali ma meno aggressive del Volnay Premier Cru che si intrecciano a note balsamiche ed eteree di piccoli frutti sotto spirito, poi con l’ossigenazione vengono al naso note di tabacco e cioccolato fondente. In bocca è orgogliosamente armonico perchè fa alternare i sensi tra un vortice di sensazioni dure e morbide senza mai riuscire a farle decifrare fino in fondo, quindi deduco che tutte le componenti sono in perfetta amalgama. Rimane in bocca per un tempo interminabile esprimendo una opulenza ed una corposità non naturalmente da vino del sud ma da aristrocatico vino del nord. In bocca entra e rimane largo e le sensazioni che si alternano vanno dalla carruba, alle bacche di ginepro, dal tabacco caraibico alle more sotto spirito, senza dimenticare una sapidità quasi mediterranea (che strano…).
Nessuno voleva far terminare la serata perchè il calore del vino aveva disinibito i più timidi e portato la discussione sull’amore o l’odio verso i Pinot Noir di Bourgogne che fanno discutere per prezzi fuori mercato e per sensazioni che devono essere aspettate con pazienza, quasi come le opere di Kandisky che con l’uso di colori non sempre perfettamente definiti, con forme a volte tondeggianti ed a volte spigolose, portano a fermarsi e pensare, qualcuno ha anche citato Mondrian, come rappresentante dell’Astrattismo, che nonostante la regolarità e linearità delle sue opere lascia a bocca aperta alla ricerca del profondo significato che vuole esprimere.Qualcuno addirittura sosteneva che il Pinot è come il Jazz ricco di armonie e disarmonie tutte da decifrare. Si può concludere dicendo che è il vino di Bourgogne necessita di empatia per capirne la sua bellezza intrinseca…
sabato 19 aprile 2008
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