Extra Brut Riserva Stocker 2000
Soave Classico Pieropan ‘97
Weiss Terlaner Stoker 2006
Blaterle Eberlehof 2006
Castel del Monte Rivera ‘87
Bardolino Bertani ‘94
Hofstatter Baluburgunder s.a.
Lagrein Gries ‘93
Rosso del Carso Castelvecchio ‘91
Malvasia di Bosa “Licoro” Zarrelli 2004
Divertirsi degustando e spiando le etichette solo dopo aver immaginato le più improbabili denominazioni e i più improbabili vitigni.
Nella mia settimana “meridionale” spunta la degustazione più assurda degli ultimi tempi. Fabio aveva scommesso metà della propria cantina a chi avesse indovinato il Blaterle, vitigno che fino a ieri sera non solo mi era ignoto all’assaggio, ma ne ignoravo persino l’esistenza. Ovviamente su 6 partecipanti alla bizzarra degustazione nessuno si è avvicinato. Io pensavo al sylvaner, ma evidentemente ne era un parente più o meno lontano.
L’idea era quella di verificare la tenuta di alcune bottiglie d’antan non del tutto adatte all’invecchiamento. In mezzo, qualche sorpresa, come lo splendido extra brut riserva di Stocker 2000, 60 mesi sui lieviti, il Weiss Terlaner dello stesso produttore e appunto il carneade di turno, il Blaterle.
L’Extra Brut, paglierino vivo al colore, ha un naso estremamente complesso, molto al di là dello stancante sentore lievitoso, e bocca molto vivace, fresca, pulita, lunga. Io, che non amo particolarmente le bollicine, sono capitolato sotto questa bandiera altoatesina.
Poi si parte con le bottiglie coperte.
Il primo è un bianco. Colore giallo paglierino intenso con riflessi dorati. Naso piuttosto ridotto e appena burroso. Bocca scomposta e un po’ decaduta. Impossibile risalire al vitigno. Scopriamo le carte: è il Soave classico di Pieropan, della vendemmia 1997.
Per spezzare, si va verso un bianco giovane, il Weiss Terlaner 2006 di Stocker, (da un uva autoctona non meglio specificata), bello limpido in un paglierino tenue. Naso molto fresco che varia tra menta e canfora, con affioramenti di erbe aromatiche. In bocca è un vino piuttosto diretto, teso, bella spalla acida che tiene vivo il sorso. Mi piace particolarmente: si beve con molta facilità, senza tuttavia rinunciare alla complessità. È infatti piuttosto articolato, scalpitante. Niente affatto banale. Poi è la volta dello sconosciuto Blaterle 2006 di Eberlehof. Naso finemente aromatico, tendente più al selvatico che al minerale, che rivela immediatamente il suo carattere nordico per i sentori di erbe di montagna. In bocca è schietto, sottile, con una buona mineralità, piuttosto marcata. Sembra un fratello minore del riesling.
A questo punto si chiude con i bianchi e si parte coi rossi. Tutti rigorosamente con bottiglie coperte.
Il primo, dal colore granato appena un po’ scarico e mediamente compatto, ha un impatto spaesante: per me ci sono note di peperoni verdi che riconducono ai cabernet. Per Tommaso si tratta piuttosto di un sentore vagamente affumicato. Tuttavia il naso è caldo e affascinante. La bocca è appena smagrita, pur dimostrando una buona tenuta e rivelandosi ancora abbastanza vivace. Chiude appena corto. Nessuno ha indovinato la provenienza o meglio: nessuno ci ha provato. Era un Castel del Monte rosso del 1987 della celebre azienda pugliese Rivera.
È la volta di un altro campione d’antan: colore granato abbastanza compatto, naso con accenni di liquirizia, elegante, complesso, abbastanza caldo (non tanto caldo da farlo assomigliare ad un vino del Sud: e infatti i presenti si sono divisi su questo punto). In bocca non riesce del tutto a mantenere le promesse che il naso generosamente aveva concesso (come l’80% dei vini sentiti). Pur mantenendosi integro e tutto sommato piacevole e vivace, perdeva la complessità annunciata, mostrando un palato più esile. Sorpresa generale nel leggere l’etichetta: trattatasi di un Bardolino di Bertani del ’94. Stando così le cose, essendo un vino senza la minima pretesa d’invecchiamento, giù il cappello per la prodigiosa tenuta di 14 anni.
La bottiglia successiva ha un bel colore granato compatto, limpido e trasparente, naso molto preciso, che varia tra accenni minerali (idrocarburi) e un frutto rosso ancora vivo. Poi un corredo complesso di erbe aromatiche, china, rabarbaro. La bocca incredibilmente corrispondente e lunga, senza sbavature, appena un po’ verde. Mi sono fatta un’idea del possibile vino. Per me è un pinot nero. E una volta tanto ci prendo. Trattasi del Blauburgunder di Hoffstatter, senza annata. Molto probabilmente siamo di fronte ad un campione di una ventina d’anni. Di sicuro il vino più performante.
A seguire c’è un vino dal granato compatto, piuttosto fitto. Naso cioccolatoso e di cuoio, con qualche accenno ancora di frutta matura, che assomiglia ad una prugna. È un “vinone” che ha anche un bonus di finezza. Quasi tutti hanno creduto si trattasse di un vino meridionale (molti di noi hanno pensato alla Puglia, per un vino alla cui composizione poteva concorrere anche l’aglianico in percentuale, a donargli quel pizzico di eleganza). In bocca però non ha la complessità che ci si aspettava e la possibilità aglianico svanisce. Tiene comunque bene e si difende, risultando molto bevibile a dispetto della potenza prima mostrata. Ad ogni modo abbiamo sbagliato tutto. Era un vino del Nord, molto a Nord. Un bel Lagrein di Gries del ’93.
L’ultimo vino coperto è forse il più deludente (Mauro ne conviene). Colore in linea con i precedenti, mentre il naso è poco intenso e la bocca un po’ corta, sebbene integra e solida. Trattasi di un Rosso del Carso (forse a base merlot) del ’91 di Castelvecchio.
Dopo il dolce sorseggiamo un po’ di Malvasia di Bosa, il “Licoro” di Zarrelli. Colore giallo intenso che vira verso il dorato, con riflessi di oro antico. Naso estremamente verticale, tutto improntato su sentori agrumati che muovono dal fascino caldo del bergamotto fino all’esotico lime. In bocca c’è quel piacevolissimo gioco a rimpiattino tra la tendenza dolce e un carattere secco, quasi austero e rigoroso. I ritorni odorosi sono in linea con quelli percepiti all’olfatto. Più che sapido è un vino che poggia sostanzialmente sull’acidità, molto spiccata e rinfrescante. Un tripudio di agrumi. Vino nello stesso tempo semplice nella beva per la sua spiccata nota agrumata, ma piuttosto articolato e dotato di gran progressione al palato. Molto distante dai tratti ossidativi che caratterizzano altri campioni della tipologia.
Serata piacevole e spericolata, all’insegna dell’allegria e del disimpegno (una volta tanto…). Quando i discorsi esulavano da argomenti enogastronomici, si parlava del Napoli calcio. Eh, oh!